JUVENILIA #3 THANK YOU, MARIO

Mi riuscì una volta sola.

Di affrontare Bowser, – vi prego, ditemi che sapete chi è Bowser – il vero BOWSER, faccia a faccia, di sconfiggerlo e di trarre in salvo la ieratica Peach, principessa del popolo fungicefalico dei Toad.

Avrò avuto otto-nove anni, e mi lasciavo allegramente alle spalle una scia multicolore di cadaveri, centinaia, che dico, migliaia di Goomba e di Koopa Troopa spappolati o inceneriti in giro per il Regno dei Funghi, in un’avventura che aveva comportato l’attraversamento di otto mondi.

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Capitò quel pomeriggio, dopo Bim Bum Bam. Io e Jessica con la J di Jurassic Park, che all’epoca ancora si fregiava del titolo di Migliore Amica e che di lì a un paio d’anni, inspiegabilmente, sarebbe passata al lato oscuro della forza: tempo due anni e mi avrebbe tradito/truffato/ferito/messo-contro-nuove-alleanze-ostili – insomma, io e Jessica con la J di Giuda, ci mettemmo in postazione ai lati del tavolo della cucina, succhi di frutta all’albicocca a portata di mano, io Mario, lei Luigi, come sempre – e alla fine, non so come, mi verrebbe da dire tutto d’un fiato, sicuramente livello dopo livello (mica potevi salvarli), arrivai al trentaduesimo – e, boh, ce la feci. Cazzo, quel giorno stravinsi e apparentemente nessuno se ne accorse. A dire il vero, nemmeno io diedi grande importanza alla cosa, cioè la registrai a malapena. Seppellii quel piccolo trionfo nel mio piccolo archivio di piccole esperienze da otto-novenne media e me ne dimenticai completamente.

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Me ne sono ricordata all’improvviso qualche giorno fa, quando, per ragioni ignote, mi sono ritrovata a supplicare mio cugino di cedermi il suo vecchio Nintendo, il suo Nintendo storico, quello del 1987, lo stesso che gli sequestrai per anni quando ero piccola e lui ormai maggiorenne. Ci stavamo separando, e infatti ben presto mi abbandonò – pure lui! – per diventare adulto, ma fortunatamente aveva già fatto in tempo a istruirmi su varie cose di vitale importanza. O meglio: a mostrarmele.

Guardammo insieme Star Wars, Alien, i Gremlins, in mezzo a una quantità irragionevole di robaccia sci-fi e di action movies di infima qualità di cui non ho conservato memoria (Indipendence Day? Terminator? Sicuramente qualcosa con Jean-Claude Van Damme). È stato grazie ai fondamentali acquisiti allora, se oggi posso vantare una solida formazione fantascientifica. Già.

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Insomma, gli chiedo che fine abbia fatto il nostro Nintendo, e il giorno dopo, investito misticamente da un cono di luce privo di sorgente e con un sottofondo adeguato, tipo Requiem mozartiano, eccolo materializzato sulle scale di casa, nella sua confezione originale (già solo la cura riservata per vent’anni da un padre di famiglia a questo oggetto dimenticato da Dio, lì per lì mi riempie di commozione e di un senso ineffabile di complicità genetica nei confronti del mio unico cugino, che tra l’altro porta il mio stesso cognome).

La confezione originale: questa specie di compendio di visual design e di italiano promozionale anni ’80 zoppicante su calchi inglesi malriusciti: EMOZIONI PIENE DI AZIONE (cazzo vuol dire) PER L’INTERA FAMIGLIA –  ma a parte questo: guardate come sono tutti megafelici pur nelle loro improbabili acconciature! Guardateli. Io li capisco,  noi tutti nati negli anni ’80 dovremmo capirli. La pubblicità di allora era così veritiera, così priva di finzione a scopi commerciali. Come si fa a non provare gioia, come si fa a non soccombere alla fascinazione estetica senza tempo e all’arcaico splendore di una grafica a 8 bit!? Ditemi. 

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