LA TRAMA. IL PLOT. BEL CASINO

Non ci so fare con questa roba, né mi suscita particolare interesse nei libri che leggo. Mai letto un libro per la “trama avvincente”, per capirci.

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Un tizio a cui avevo fatto leggere un mio racconto mi disse, secco: Non c’è trama, non aggancia. Non vedevo quale fosse il problema. Ma una trama deve esserci, si era scaldato. Io da lettore voglio scoprire chi è l’assassino, sempre, anche se non ci sono di mezzo omicidi, mi capisci. Il punto di domanda aveva aleggiato per qualche secondo nella stanza poi si era dissolto. La verità è che non lo capivo affatto.

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Ho imparato a diffidare dalle menti economiche o troppo econome, da chi sostiene che il raggiungimento dell’obiettivo è la cosa più importante (il prezzo umano: trascurabile), dalle persone che nella gestione della loro vita non contemplano nessuna fonte di spreco.

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Io credo molto nello spreco, ma preferisco chiamarlo eccesso. Mi sento lusingata quando le persone mi definiscono eccessiva, a prescindere dalla nota recriminatoria che percepisco nella loro voce. Ho rivendicato il diritto all’eccesso in ogni settore della mia esistenza: eccessiva nelle passioni, eccessiva nelle idee e nelle conseguenti prese di posizione.

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(Ma anche: eccessiva nel senso di superflua, in eccesso appunto, di troppo: fuori dai giochi, fuori luogo, fuori di testa. Espressioni comuni che per me significano qualcosa.)

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Le trame sono cose da fascisti”, scrive Lorrie Moore, che non amo alla follia ma in questo non posso che darle ragione.

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Mi piacciono i libri in cui avverto che l’autore si è abbandonato a ciò che doveva succedere senza intervenire più di tanto: ha sentito e non pensato lo sviluppo degli eventi, l’intreccio dei materiali.

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Credo di aver fatto di tutto perché la mia vita non avesse una trama. E se l’ha avuta, se ce l’ha, è talmente sottile che basta posare malamente un coltello sul tovagliolo per smagliarla irreversibilmente.

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Siamo seri, la vita non ha trama. Siamo stati tutto e abbiamo vissuto ogni vita possibile, ne peschiamo una dal mucchio e facciamo finta che sia andata a quel modo. Se poi siamo portati per gli auto-inganni, finiamo per convincercene davvero. Finché non salta fuori un quaderno una lettera un testimone oculare o che so io, a ribadire la sua verità fuori assetto. Ed ecco che il nostro curatissimo palinsesto autobiografico collassa rovinosamente. Perché le storie che ci tengono in vita sono troppe, e spesso si negano a vicenda.

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Quale forma può avere un vita? È un quadrato, un cerchio, una linea retta?

Ultimamente sono propensa a immaginarmela così:

 Kandinsky

“costituita da tante piccole vite complete, da cerchi interi, conchiusi, che si isolavano gli uni dagli altri”. Siamo a pagina 96 di Vicino al cuore selvaggio di Clarice Lispector.

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“Era sempre inutile essere stati felici o infelici. E anche aver amato. Nessuna felicità o infelicità era stata tanto forte da aver trasformato gli elementi della propria materia, dandole una direzione unica, come dev’essere il cammino vero. Non faccio che inaugurarmi, aprendo e chiudendo cerchi di vita, buttandoli da parte, appassiti, pieni di passato. Perché così indipendenti, perché non si fondono in un blocco solo, a farmi da base? È che erano troppo integrali. Momenti così intensi, rossi, condensati in se stessi da non aver bisogno di passato né di futuro per esistere. Possedevano una conoscenza che non serviva come esperienza – una conoscenza diretta, più come sensazione che come percezione. Allora la verità scoperta era tanto verità da non poter sussistere se non nel suo recipiente, nel fatto stesso che l’aveva provocata. Così vera, così fatale che vive solo in funzione della propria matrice. Una volta finito quel momento di vita, anche la verità corrispondente si esaurisce. Non posso modellarla, farle ispirare altri momenti uguali. Quindi niente mi costringe.”

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Epilogo. L’identità dell’assassino non è mai saltata fuori. Qualcosa mi dice che resterà latitante a vita.

4 pensieri su “LA TRAMA. IL PLOT. BEL CASINO

    • ophelma ha detto:

      Concordo in pieno. Oltre alle trame manifeste e “muscolari”, possono esistere anche trame latenti, trame puramente intuitive, invisibili come campi magnetici. L’arte del montaggio poi è una gran cosa. Viva i modernisti! Eppure, a livello sotterraneo, non smette di turbarmi il fatto che l’autore di opere intramontabili e quasi sovrumane come The Waste Land e Four Quartets, abbia potuto scrivere: “I struggle to keep writing as much as possible in male hands as much as possible as I distrust the feminine in literature”. “Io diffido del femminile in letteratura” (!). Forse anche per questo, per questa misoginia patologica elevata a programma estetico, non posso fare a meno di guardare al Modernismo con un certo sospetto. Mai nessuno prima aveva usato l’aggettivo modernista per descrivermi! Ti ringrazio per essere passata da queste parti. Seguirò con piacere il tuo blog “senza trama” (yeah)! 😉

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      • silvia's cakes ha detto:

        Considera che Eliot aveva una moglie con dei disturbi mentali, e questo rapporto con la moglie malata lo turbò per tutta la vita.. Forse fu influenzato anche da questo nel giudizio verso le donne. Continua a scrivere, non preoccuparti delle trame, Eliot è stato anche premio Nobel

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